La potenza della creatività
Intervista all’artista e designer Margherita Potenza.
Quando incontro un designer che lavora secondo determinati valori e lo fa perché il suo corpo e la sua anima non gli danno un’alternativa all’inseguimento di tali principi, io mi emoziono sempre. Quando però incontro un tale designer che è anche capace di andare oltre al design stesso, allora mi innamoro.
Margherita Potenza è una designer basata a Milano il cui lavoro si concentra su oggetti legati al corpo e si esprime attraverso la sperimentazione e le peculiarità dei materiali.
Il suo background è radicato nelle arti applicate, e la sua pratica spazia dalla creazione di gioielli al product design, alle installazioni artistiche e alla scrittura.
È affascinante scrutare tra i lavori di Margherita, perché attraverso le sue creazioni si riconosce un processo creativo vario, ampio e molto personale, ma allo stesso tempo organico e coerente.
Ogni creazione è pervasa da una forte energia ed è caratterizzata da un lavoro curato e pieno di sentimento, tanto da renderne difficile la definizione, come se fosse pensata per andare oltre l’oggetto stesso e raccontare una storia più profonda e in continua evoluzione.
Abbiamo chiesto a Margherita Potenza di raccontarci la sua storia e la ragione per cui ha deciso di intraprendere questo percorso a metà tra le abilità di un vero artigiano e la poetica di un vero artista.
Perché hai iniziato a creare gioielli?
La mia storia d’amore con i gioielli inizia molto presto, da quando sono piccola. Mia madre lavorava come costumista per l’opera, e spesso dopo scuola mi portava nella sartoria dove seguiva le produzioni di costumi per La Scala.
Ho un ricordo vividissimo dei tessuti cangianti, delle perline e finte gemme che si utilizzavano nei ricami, dei decori metallici che si applicavano ai vestiti… credo che tutti in laboratorio si accorgessero che me ne riempivo le tasche appena ne avevo l’occasione, ma nessuno mi ha mai rimproverato. Da lì i gioielli sono diventati una passione, potrei dire quasi un’ossessione perché sono attratta dagli oggetti preziosi in maniera viscerale.
Sempre da bambina ho cominciato a creare gioielli, che fossero pezzi di bambù infilati in una stringa, un ciondolo fatto in colonia da regalare a mia mamma o le collanine di perle da vendere in spiaggia. Più tardi, quando mi sono iscritta all’Accademia di Brera, questo penchant per i gioielli è riemerso in un momento in cui mi sentivo un po’ persa, e lì ho cominciato a mettere mano all’oreficeria vera e propria, prima con un corso serale di cera persa, e poi con vari stage in laboratori orafi.
In quel periodo ho scoperto la realtà del gioiello contemporaneo, ossia il punto d’incontro fra l’oreficeria e l’arte contemporanea, ed è stato amore a prima vista.
Durante un soggiorno a Ginevra ho avuto la fortuna di conoscere una professoressa che mi ha parlato del master in gioiello del Royal College of Art a Londra, dove potevano candidarsi studenti con un background eterogeneo come il mio.
Dopo un anno di fermentazione ed un sudatissimo percorso di ammissione ho finalmente fatto le valigie per Londra, e da allora mi sono immersa per davvero nella creazione di gioielli, coinvolgendo sia una produzione manuale che una intellettuale.
Dal mio periodo a Londra sono passati cinque anni, ma il modus operandi è rimasto lo stesso, così come il richiamo istintivo verso gli oggetti brillanti da indossare.
Cosa ti emoziona della creazione dei gioielli?
La cosa che più mi diverte nel lavoro che faccio è poter sempre sperimentare, approcciare tecniche che ancora non conosco, utilizzare materiali che ancora non ho provato.
Il campo dell’oreficeria è talmente vasto – dall’incassatura agli smalti, dalla galvanica all’incisione, l’elettroformatura, l’anodizzazione, la politura, il taglio delle pietre… – che ho la certezza di non potermi mai stufare di fare gioielli, perché non avrò mai finito d’imparare.
In questo senso le tecnologie aprono altri terreni d’esplorazione, ma anche le tecniche antiche sono una fonte di scoperta.
Un’altra cosa che apprezzo molto del lavoro al banchetto è il percorso non lineare che corre fra la progettazione di un gioiello e la sua realizzazione, perché è solo mettendo mano alle cose che ci si rende conto dei limiti materiali che una forma metallica impone, e a quel punto scatta un meccanismo di adattamento e deviazione dall’idea originale che porta a dei risultati altrettanto soddisfacenti, ma inaspettati.
Infatti mi capita raramente di disegnare un gioiello prima di realizzarlo, a meno che non debba illustrare un’idea ad un cliente per una commissione. Di solito i disegni che faccio prendono la loro strada, e i gioielli a volte derivano per vie traverse da degli schizzi, oppure semplicemente vengono fuori per conto loro, in corso d’opera.
Da dove viene la tua ispirazione?
Ah, se solo lo sapessi… sarei molto più prolifica!
Sono attiva da diversi anni nella creazione di gioielli, ma la scintilla che mi spinge a creare un nuovo pezzo scocca quasi sempre a mia insaputa. In realtà credo che il mio processo creativo si basi su una fase di sedimentazione piuttosto lunga, in cui ispirazioni diverse come dipinti, immagini d’archivio di gioielli, testi letti, musica, poesia, posti vistati si stratificano piano piano, e ogni tanto questo compost esala una nuova idea.
Ci sono anche particolari stati d’animo che mi rendono più creativa, una forma d’irrequietezza che sento quando sono in posto nuovo, sia fisico che mentale – un posto un po’ più in là della mia comfort zone.
Di certo il denominatore comune di tutti i pezzi che creo, indossabili e non, è il corpo. In tutte le sue declinazioni, il corpo è il punto focale del mio interesse: come forma, come sostanza, come identità, come soggetto politico, come soggetto spirituale… Nelle due linee di gioielli in vendita nel vostro shop, penso che il tema del corpo sia presente sotto forma di gesto, che in Fluida è pittorico, sinuoso come il segno un pennello imbevuto d’inchiostro, mentre in Chunky è scultoreo, fatto di intagli, graffi e segni più primitivi.
Quali progetti ti sono piaciuti di più nel tuo percorso?
Il progetto di cui sono più soddisfatta è uno dei primi ad essere esposti al pubblico (è il lavoro con cui mi sono laureata dal master di Jewellery & Metal del Royal College of Art), e ironicamente è piuttosto distante dal concetto classico di gioiello come ornamento.
È un’installazione intitolata Horizontal Theory e consiste in un grande materasso con una fodera ricamata e una tenda di garza dipinta, che avevo sistemato nello spazio dove si trovava il mio banchetto nello studio dell’RCA. L’idea di presentare un ambiente da vivere laddove ci si aspettava che io mostrassi un gioiello veniva da una riflessione sul mio stato psicofisico negli anni che ho passato a Londra, e come dalla mia esperienza mi potesse prendere forma un lavoro legato al concetto di preziosità.
Per me, nell’epicentro del capitalismo sfrenato, dell’astrazione finanziaria e della crescita senza limiti che è Londra, l’esperienza della preziosità consisteva nel riposo, nello spazio bianco e soffice dove potersi ricaricare, nella pigrizia come rifiuto di ritmi di produzione forsennati.
Quest’idea di creare un ornamento non solo per il corpo fisico, ma anche per il corpo espanso, quindi per lo spazio abitato dal corpo, è qualcosa che ha continuato ad interessarmi fino ad oggi, ed infatti sarà il tema su cui svilupperò il mio prossimo progetto, durante una residenza artistica in Puglia.
Un altro lavoro frutto di una residenza (questa volta ad Amsterdam) di cui sono molto contenta è la linea di gioielli per il corpo Body Carography, che consiste in una serie di placchette metalliche che s’indossano direttamente sulla pelle, posandole su dei punti specifici che corrispondono al passaggio di flussi di energia. In questo caso il gioiello è inteso come ornamento direttamente plasmato sul corpo, e diventa uno strumento per favorirne la forza e la presenza, sia in termini simbolici che in termini fisici.
In Body Cartography il gioiello diventa una un supporto per preservare e far fluire l’energia del corpo, che altrimenti sarebbe portata ad esaurirsi nel contesto quotidiano che viviamo.
Quale attributo ritieni che caratterizzi meglio un eccellente gioiello?
Un gioiello eccellente per me è un oggetto in grado di rivelare l’essenza del mondo a cui appartiene, non solo a coloro che ne conoscono il contesto storico e culturale, ma a chiunque sia in grado di coglierne le vibrazioni.
Mi vengono in mente esempi disparati come le scatole da tabacco inglesi del XVIII secolo, i pezzi unici di Verdura, gli accessori di Elton John o i gioielli di artisti come Karl Firtsch o Beppe Kessler… Sono tutti oggetti che al di là di una comprensione razionale, possono far intravedere una visione, uno stile di vita, un’appartenenza all’immaginario da cui provengono.
Come un buco di serratura da cui sbirciare, credo che un gioiello eccellente debba essere in grado di evocare la cornice che gli ha dato forma, di trasportare le persone che lo indossano in una dimensione in cui la loro fantasia si mette in moto per ricostruire i tasselli del mosaico a cui quel pezzo appartiene.
Cosa, in particolare, vuoi che i tuoi progetti esprimano?
La reazione che più mi rende felice di fronte ad un mio pezzo è il volo di fantasia, la concatenazione di riferimenti e immagini mentali che fa correre il criceto sulla ruota dell’immaginazione.
Il contenuto di questo volo ovviamente non ha una forma fissa ed è diverso da persona a persona, ma il punto per me è proprio far decollare i pensieri e creare nuove concatenazioni fra un oggetto e le idee che suscita.
Se un gioiello non stuzzica i sensi della fantasticheria, c’è qualcosa che non funziona.
Pensando ai miei lavori, un pezzo che credo abbia centrato questo obiettivo è un fermacravatta in filo d’argento che avevo realizzato per un amico, un regalo per salutarlo prima di partire. Il filo era sagomato nella forma di un omino che avevo disegnato tempo prima, una specie di cuscinetto con le gambe che saltellava. Credo che quella forma abbia risvegliato un senso di giocosità nelle persone che lo hanno visto, e in tanti ne sono stati incuriositi.
In futuro vorrei cominciare ad utilizzare delle pietre nei miei gioielli, anche perché ho appena terminato un periodo di formazione su varie tecniche d’incassatura, e penso che le gemme siano un materiale ricco di riferimenti immaginifici, che facilmente vanno a toccare ricordi, sogni, storie… non ho ancora in mente qualcosa di specifico, ma vorrei provare a combinarle con materiali plastici che possano creare un contrasto di textures interessante. In generale penso che lavorare contrapponendo categorie di forme, idee, richiami diversi generi spesso delle scintille intriganti.
Come descriveresti la tua estetica e come hai sviluppato il tuo stile?
Anche qui, andiamo ad interrogare un meccanismo di cui sono abbastanza all’oscuro… Credo che anche in questo caso, il mio stile sia il risultato di un processo di sovrapposizione, accumulo e deposito, che nel tempo ha dato forma alla mia impronta.
Forse è anche a causa di questa opera di decantazione che contraddistingue la mia creatività che sono una persona piuttosto lenta, ho bisogno di momenti intermittenti di vuoto e sospensione mentre lavoro per poter digerire le idee e dargli forma secondo i miei ritmi.
Di sicuro un punto di riferimento estetico a cui torno spesso sono una serie periodi storici che mi affascinano e l’arte visiva che hanno prodotto (sono convinta che se non mi fossi iscritta in accademia avrei studiato Storia, un ambito che mi ha sempre appassionato).
In particolare penso al Medioevo e alle sue arti applicate – dal mosaico alle vetrate alle miniature – l’arte barocca e tutti i suoi filoni secondari (come stile auricolare, una tendenza decorativa del XVII secolo di cui il Rijksmuseum di Amsterdam ha un’ampia collezione), oppure ancora l’arte Preraffaelita e l’opera di William Morris… la Storia e le sue espressioni visive sono un fonte infinta da cui attingere indizi ed accenni, che una volta digeriti e assimilati rispuntano nel collage stilistico dei miei lavori.
Che consiglio daresti a qualcuno che ha appena iniziato e vuole imparare il tuo mestiere?
Avendo cominciato ad insegnare nel corso di Jewelry Design dello IED di Milano ho avuto modo d’incontrare diversi ragazzi che stanno muovendo i primi passi nel mondo del gioiello, e avere a che fare con loro in veste di professoressa è allo stesso tempo comico e interessantissimo.
Io mi sento ancora una di loro per molti versi, perché ogni volta che intraprendo un nuovo progetto in cui approccio una tecnica o un materiale che non conosco devo rivestire i panni dell’apprendista, ma lungo il mio percorso ho imparato alcune strategie che si possono mettere in atto per stimolare il proprio lavoro.
Il primo consiglio che mi sentirei di dare è quello di prendere dimestichezza con l’arte dei pasticci, ossia la capacità di mettere le mani in pasta a prescindere dagli strumenti e dai materiali che si hanno.
Il secondo è quello d’imparare a vedere gli errori e le problematiche non come una strada sbarrata ma come una deviazione che ci fa scoprire nuovi sentieri; allontanarsi dall’idea iniziale non è necessariamente un fallimento, ma piuttosto un esercizio di elasticità.
Il terzo è di cercare un proprio equilibrio fra caos e disciplina, in modo da poter raggiungere i propri obiettivi pur lasciando il giusto spazio all’entropia. Infine penso che la regola d’oro di qualunque pratica creativa sia quella di trovare sempre il modo di divertirsi, per dare vita all’alchimia che trasforma il lavoro in passione.
Qual é il tuo desiderio per il futuro?
I miei desideri per il futuro sono diventare telepatica, imparare il portoghese e convertire la mia produzione di gioielli in metalli e pietre Fairtrade.